Cavalleria rusticana 29/11/2015

versione accettata

Domenica 27 novembre 2015 ore 17:00
presso il Centro per gli Anziani di Amatrice

Giovanni Verga
Cavalleria Rusticana
(da Vita dei campi, 1880)
Libero adattamento per una lettura di gruppo di Sergio Serafini

PERSONAGGI
PRIMO LETTORE: LEGGE ________________________

AIUTO PRIMO LETTORE: LEGGE E MIMA CARLO CELLI

TURIDDU: LEGGE _________________________________

LOLA : LEGGE ____________________________________

COMPARE ALFIO: LEGGE ________________________________

SANTA : ________________________________________________
Domenica 27 novembre 2015 ore 17:00
presso il Centro per gli Anziani di Amatrice

Giovanni Verga
Cavalleria Rusticana
(da Vita dei campi, 1880)
Libero adattamento per una lettura di gruppo di Sergio Serafini

Primo lettore

Turiddu Macca, il figlio della gnà Nunzia (il primo lettore indicherà Turiddu) come tornò da fare il soldato, ogni domenica si pavoneggiava in piazza coll’uniforme da bersagliere e il berretto rosso.
Le ragazze se lo rubavano cogli occhi, mentre andavano a messa col naso dentro la mantellina, e i monelli gli ronzavano attorno come le mosche. Egli aveva portato anche una pipa col re a cavallo che pareva vivo, e accendeva gli zolfanelli sul dietro dei calzoni, levando la gamba, come se desse una pedata.

Pausa: Carlo Celli farà il gesto di accendere gli zolfanelli sul dietro dei calzoni, levando la gamba, come se desse una pedata.

Riprende il primo lettore
Ma con tutto ciò Lola di massaro Angelo (il primo lettore indicherà Lola) non si era fatta vedere né alla messa, né sul ballatoio della casa, perché si era fatta sposa con uno del paese vicino (Licodìa), il quale faceva il carrettiere e aveva quattro muli in stalla.
Dapprima Turiddu, come lo seppe, santo diavolone! voleva trargli fuori le budella della pancia, voleva trargli, a quel di Licodia! Però non ne fece nulla, e si sfogò coll’andare a cantare tutte le canzoni di sdegno che sapeva sotto la finestra della bella.
— Che non ha nulla da fare Turiddu della gnà Nunzia, — dicevano i vicini, — che passa la notte a cantare come una passera solitaria?
Finalmente s’imbattè in Lola che tornava dal viaggio alla Madonna del Pericolo, e al vederlo, non si fece né bianca né rossa quasi non fosse stato fatto suo.

Entrano in scena Turiddu e Lola

— Turiddu: Beato chi vi vede!
— Lola: Oh, compare Turiddu, me l’avevano detto che siete tornato al primo del mese.
— Turiddu: A me hanno detto delle altre cose ancora! E’ vero che vi maritate con compare Alfio, il carrettiere?
— Lola: Se c’è la volontà di Dio!
— Turiddu: La volontà di Dio la fate col tira e molla come vi torna conto! E la volontà di Dio fu che dovevo tornare da tanto lontano per trovare ‘ste belle notizie.

Riprende il primo lettore

Il poveraccio tentava di fare ancora il bravo, ma la voce gli si era fatta roca; ed egli andava dietro alla ragazza dondolandosi colla nappa del berretto che gli ballava di qua e di là sulle spalle. A lei, in coscienza, rincresceva di vederlo così col viso lungo, però non aveva cuore di
lusingarlo con belle parole.

— Lola: “Sentite, compare Turiddu, lasciatemi raggiungere le mie compagne. Che direbbero in paese se mi vedessero con voi?…
— Turiddu: “È giusto, ora che sposate compare Alfio, che ci ha quattro muli in stalla, non bisogna farla chiacchierare la gente. Mia madre invece, poveretta, la dovette vendere la nostra mula baia, e quel pezzetto di vigna sullo stradone, nel tempo ch’ero soldato. Passò quel tempo che Berta filava, e voi non ci pensate più al tempo in cui ci parlavamo dalla finestra sul cortile, e mi regalaste quel fazzoletto, prima d’andarmene, che Dio sa quante lacrime ci ho pianto dentro nell’andar via lontano tanto che si perdeva persino il nome del nostro paese. Ora addio, gnà Lola, facemu cuntu ca chioppi e scampau, e la nostra amicizia finiu”.

Pausa: Carlo Celli tradurrà la frase: facciamo conto che sia piovuto, e poi spiovuto, e la nostra amicizia sia finita.

Riprende il primo lettore

La gnà Lola si maritò col carrettiere; e la domenica si metteva sul ballatoio, colle mani sul ventre per far vedere tutti i grossi anelli d’oro che le aveva regalati suo marito.
il primo lettore indicherà Lola che farà il gesto di far vedere i suoi anelli

Turiddu seguitava a passare e ripassare per la stradicciuola, con la pipa in bocca e le mani in tasca, in aria d’indifferenza, e occhieggiando le ragazze; ma dentro ci si rodeva che il marito di Lola avesse tutto quell’oro, e che ella fingesse di non accorgersi di lui quando passava.
— Voglio fargliela proprio sotto gli occhi a quella cagnaccia! — borbottava.
Di faccia a compare Alfio ci stava massaro Cola, il vignaiuolo, il quale era ricco come un maiale, dicevano, e aveva una figliuola in casa. Turiddu tanto disse e tanto fece che entrò camparo da massaro Cola, e cominciò a bazzicare per la casa e a dire le paroline dolci alla ragazza.

Pausa: Carlo Celli tradurrà il termine camparo: guardiano dei campi. Con la scusa del guardiano dei campi Turiddu entra a casa di Massaro Cola e può far la corte alla ragazza.

Entrano in scena Turiddu e Santa

— Santa: Perché non andate a dirle alla gnà Lola ste belle cose? —
— Turiddu: La gnà Lola è una signorona! La gnà Lola ha sposato un re di corona, ora!
— Santa: Io non me li merito i re di corona.
— Turiddu: Voi ne valete cento delle Lole, e conosco uno che non guarderebbe la gnà Lola, né il suo santo, quando ci siete voi, perché la gnà Lola, non è degna di portarvi le scarpe, non è degna.
— Santa: La volpe quando all’uva non potè arrivare…
– Turiddu: Come sei bella, racinedda mia!
– Turiddu fa il gesto di accarezzare Santa
— Santa: Ohè! quelle mani, compare Turiddu.
— Turiddu: Avete paura che vi mangi?
— Santa: Paura non ho né di voi, né del vostro Dio.
— Turiddu: Eh! vostra madre era di Licodìa, lo sappiamo! Avete il sangue rissoso! Uh! che vi mangerei cogli occhi.
— Santa: Mangiatemi pure cogli occhi, che briciole non ne faremo; ma intanto tiratemi su quel fascio.
— Turiddu: Per voi tirerei su tutta la casa, tirerei!
— Santa: Spicciamoci, che le chiacchiere non ne affastellano sarmenti.

Pausa: Carlo Celli tradurrà la frase: “non è con le chiacchiere che si fanno i fasci di tralci”. Santa è figlia di un massaro e quindi usa spesso i fatti di vita agraria per fare paragoni. Ma anche Turiddu fa altrettanto: racinedda mia, vuol dire “uva spina” mia, e quindi dolce come l’uva ma spinosa di carattere.
Riprendono Turiddu e Santa

— Turiddu: Se fossi ricco, vorrei cercarmi una moglie come voi, gnà Santa.
— Santa: Io non sposerò un re di corona come la gnà Lola, ma la mia dote ce l’ho anch’io, quando il Signore mi manderà qualcheduno.
— Turiddu: Lo sappiamo che siete ricca, lo sappiamo!
— Santa: Se lo sapete allora spicciatevi, perché il babbo sta per venire, e non vorrei farmi trovare nel cortile —.

Riprende il primo lettore

Il babbo cominciava a torcere il muso, ma la ragazza fingeva di non accorgersi, poiché la nappa del berretto del bersagliere gli aveva fatto il solletico dentro il cuore, e le ballava sempre dinanzi gli occhi. Come il babbo mise Turiddu fuori dell’uscio, la figliuola gli aprì la finestra, e stava a chiacchierare con lui ogni sera, che tutto il vicinato non parlava d’altro.

Riprendono Turiddu e Santa

— Turiddu: Per te impazzisco e perdo il sonno e l’appetito.
— Santa: Chiacchiere.
— Turiddu: Vorrei essere il figlio di Vittorio Emanuele per sposarti!
— Santa: Chiacchiere.
— Turiddu: Per la Madonna che ti mangerei come il pane!
— Santa: Chiacchiere!
— Turiddu: Ah! sull’onor mio!
— Santa: Ah! mamma mia! —
Riprende il primo lettore

Lola che ascoltava ogni sera, nascosta dietro il vaso di basilisco, si faceva pallida e rossa. Un giorno chiamò Turiddu.

Entrano in scena Turiddu e Lola

— Lola: E così, compare Turiddu, gli amici vecchi non si salutano più?
— Turiddu: Ma! beato chi può salutarvi!
— Lola: Se avete intenzione di salutarmi, lo sapete dove sto di casa!

Riprende il primo lettore

Turiddu tornò a salutarla così spesso che Santa se ne avvide, e gli battè la finestra sul muso. I vicini se lo mostravano con un sorriso, o con un moto del capo, quando passava il bersagliere. Il marito di Lola, infatti, era in giro per le fiere con le sue mule.
Quando compare compare Alfio tornò con le sue mule, carico di soldoni, portò in regalo alla moglie una bella veste nuova per le feste.

Entrano in scena Santa e compare Alfio

— Santa: Compare Alfio, avete ragione di portarle dei regali, perché mentre voi siete via vostra moglie vi adorna la casa! —
Riprende il primo lettore

Compare Alfio era di quei carrettieri che portano il berretto sull’orecchio, e a sentir parlare in tal modo di sua moglie cambiò di colore come se l’avessero accoltellato.

Compare Alfio rivolto a Santa: “Santo diavolone! — esclamò, — se non avete visto bene, non vi lascerò gli occhi per piangere! a voi e a tutto il vostro parentado!
— Santa: Non son usa a piangere! Non ho pianto nemmeno quando ho visto con questi occhi Turiddu della gnà Nunzia entrare di notte in casa di vostra moglie.
— Compare Alfio: Va bene, grazie tante.

Riprende il primo lettore

Turiddu, adesso che era tornato il gatto, non bazzicava più di giorno per la stradicciuola, e smaltiva l’uggia all’osteria, con gli amici. La vigilia di Pasqua avevano sul desco un piatto di salsiccia. Come entrò compare Alfio, soltanto dal modo in cui gli piantò gli occhi addosso, Turiddu comprese che era venuto per quell’affare e posò la forchetta sul piatto.

Entrano in scena Turiddu e compare Alfio

— Turiddu: Avete comandi da darmi, compare Alfio?
— Alfio: Nessuna preghiera, compare Turiddu, era un pezzo che non vi vedevo, e volevo parlarvi di quella cosa che sapete voi —.
— Turiddu Sono qui, compare Alfio —.
— Alfio: Se domattina volete venire nei fichi d’India della Canziria potremo parlare di quell’affare, compare.
— Turiddu: Aspettatemi sullo stradone allo spuntar del sole, e ci andremo
insieme —
Riprende il primo lettore
Con queste parole si scambiarono il bacio della sfida. Turiddu strinse fra
i denti l’orecchio del carrettiere, e così gli fece promessa solenne di non
mancare. Gli amici avevano lasciato la salsiccia zitti zitti, e accompagnarono Turiddu sino a casa. La gnà Nunzia, poveretta, l’aspettava sin tardi ogni sera.
— Mamma, — le disse Turiddu, — vi rammentate quando sono andato soldato, che credevate non avessi a tornar più? Datemi un bel bacio come allora, perché domattina andrò lontano —.
Prima di giorno si prese il suo coltello a molla, che aveva nascosto sotto il fieno, quando era andato coscritto, e si mise in cammino per i fichi d’India della Canziria.
— Oh! Gesummaria! dove andate con quella furia? — piagnucolava Lola sgomenta, mentre suo marito stava per uscire.
— Vado qui vicino, — rispose compare Alfio, — ma per te sarebbe meglio che io non tornassi più —.
Lola, in camicia, pregava ai piedi del letto, premendosi sulle labbra il rosario che le aveva portato fra Bernardino dai Luoghi Santi, e recitava tutte le “Ave Maria” che poteva.

Entrano in scena Turiddu e compare Alfio

— Turiddu: Compare Alfio, come è vero Iddio so che ho torto e mi lascierei ammazzare. Ma prima di venir qui ho visto la mia vecchia che si era alzata per vedermi partire, col pretesto di governare il pollaio, quasi il cuore le parlasse, e quant’è vero Iddio vi ammazzerò come un cane per non far piangere la mia vecchierella.
— Alfio Così va bene. Picchieremo sodo tutt’e due.

Riprende il primo lettore
Entrambi erano bravi tiratori; a Turiddu toccò la prima botta, e fece in tempo a prenderla solo nel braccio; come la rese, la rese buona però, e tirò all’inguine.

— Alfio: Ah! compare Turiddu! avete proprio intenzione di ammazzarmi!
— Turiddu: Sì, ve l’ho detto; ora che ho visto la mia vecchia nel pollaio, mi pare di averla sempre dinanzi agli occhi.
— Alfio Apriteli bene, gli occhi, che sto per rendervi la buona misura.

Riprende il primo lettore
Compare Alfio stava in guardia tutto raccolto per tenersi la sinistra sulla ferita all’inguine, che gli doleva, e quasi strisciava per terra col gomito. Acchiappò allora una manata di polvere e la gettò negli occhi all’avversario.
Turiddu — Ah! , — sono morto —.
Riprende il primo lettore
Turiddu cercava di salvarsi, facendo salti disperati all’indietro; ma compare Alfio lo raggiunse con un’altra botta nello stomaco e una terza alla gola.

— Alfio E tre! questa è per la casa che tu m’hai adornato. Ora tua madre lascerà stare le galline —.
Riprende il primo lettore
Turiddu annaspò un pezzo di qua e di là tra i fichidindia e poi cadde come un masso. Il sangue gli gorgogliava spumeggiando nella gola e non potè profferire nemmeno: — Ah, mamma mia!
Sergio Serafini
3333527572
Dizionario: “Gnà Nunzia” sta per signora Nunzia
Turiddu: Salvatorello, piccolo Salvatore.
Canziria: territorio della provincia di Siracusa